Ti ho incontrata stanotte
tra il terzo e il quarto sogno,
mi camminavi vicino.
Eri bella,
per quanto può essere bella
un’immagine del cervello
fatta di detriti di pensiero
e inquietudini.
Ma chi eri?
Non ti conosco;
forse sarebbe il caso.
Stanotte andrò a dormire alle ventitré e trenta,
il sonno mi coglierà puntuale
poco dopo.
Mi farebbe piacere venissi,
non per qualcosa in particolare,
sai – non aspettarti molto –
ho bisogno di solitudine.
Ma ho molte cose dentro
e ho necessità di qualcuno che capisca
il silenzio.
Ecco,
in fondo sei nel mio sogno.
Ti chiederei di lasciar perdere i tuoi sogni,
che nel mio non ci stanno.
Di rinunciare ad affermarti imperiosa,
ti conosco già.
Di non parlare,
nel mio sogno c’è già tutto quello che potresti dire.
E allora cosa puoi fare?
Prendi corso e figura di fiume,
divertiti,
illuminati d’immenso
sotto il sole sinaptico.
Non prendere mai corpo e figura
e non bussare a casa mia.
Le porte sono molli
e inghiottono le mani,
poi si prendono tutto il braccio
e ti portano via.
Ivan Talarico
Pubblicata in Ogni giorno di felicità è una poesia che muore, Gorilla Sapiens Edizioni 2014