di Valeria Ottolenghi
Al termine dello spettacolo “La cantautrice fantasma” Ivan Talarico arriva a riflettere sul tema dell’autorialità citando Shakespeare – accusato più volte di “shakerare” storie, racconti, testi preesistenti (vero!, ma ci vuole poi un tocco speciale per renderli straordinario teatro) – e Omero, che, ammesso sia esistito, cantore cieco, sicuramente aveva raccolto diversi frammenti di narrazione orale, i versi più volte mutati nel tempo fino a quando la scrittura non li ha definitivamente “fermati” sulla pagina. Talarico assume in scena un ruolo più da conferenziere che da attore: spiega, propone esempi, legge, facendo quindi diverse dimostrazioni suonando e cantando. A quale fine? Rendere evidente come i maggiori successi di musica leggera, i brani più amati – da Modugno a Gino Paoli, da Tenco a Sergio Endrigo e ancora ancora – non siano altro che rimaneggiamenti di canzoni scritte da una donna, Agata Facci, ogni volta tradita da chi, raccolti spunti, versi, note, “rubati” ritmi e strofe, registrava come proprie le canzoni, scoperte che facevano riempire di lacrime di rabbia gli occhi della vera autrice. Ma: come ha potuto scoprire tutto questo Talarico? Intanto un indizio sullo stesso oratore: alla domanda sul suo lavoro risponde “faccio l’impostore, con rigore e metodo”. E in effetti ha un suo modo serioso, riflessivo di esporre le questioni, capace d’incantare gli spettatori, che certo ridono a ogni nuova sorpresa che va svelando le differenze, davvero minime, tra una canzone nota (s’inizia con “Volare”) e la prima stesura di Agata Facci, di cui intanto impariamo a conoscere anche la vita privata: perché, vecchia regola, più si danno informazioni circostanziate, ricche di particolari, più si diventa credibili. Si ride ma un po’ ci si crede: del resto non aveva trovato Talarico in un mercatino proprio l’autobiografia di questa donna tanto talentosa quanto sfortunata nella vita? Plagio: “falsa attribuzione a sé di opere o scoperte delle quali spettino ad altri i diritti di invenzione o di priorità”. Ma in che misura si può parlare di plagio?: sarebbero state altrettanto fortunate certe canzoni (di Agata Facci naturalmente) se non fossero state adeguatamente “corrette” dai nuovi autori, più o meno truffaldini? Sono interrogativi interessanti mentre si viene a sapere del matrimonio di Agata, dei figli, degli spostamenti di città in città… Obbligatorio il passaggio a Genova. Più di uno i suicidi, fallimentare con Paoli, riuscito con Tenco, lei solo un po’ rotta buttandosi dal terzo piano. Come può essere vera una storia così? Lo spettacolo è ben costruito teatralmente con una serie di ritorni interni, legati anche alla Siae, con cui Agata Facci ha rapporti definitivamente conflittuali. Bravo Ivan Talarico, come narratore e come cantante. E ancora si sorrideva all’uscita, camminando per le vie di Sansepolcro, ricordando alcune battute, lasciando tornare alla mente temi orecchiabili di canzoni assai note.
Visto sabato 13 luglio 2024 a Sansepolcro/ Kilowatt Festival
Parte di un articolo pubblicato su Sipario.it il 21 luglio 2024